Andreabont

algoritmo

Dai social agli e-commerce, fino ad essere citato persino nell'ultima stagione di Boris, per via delle piattaforme di streaming. Ma cosa s'intende per algoritmo?

Il termine in realtà è molto generico, algoritmo è una qualsiasi sequenza di istruzioni eseguibili da un computer, gli algoritmi sono ovunque, ed è grazie ad essi che potete leggere questo articolo.

Ma a noi interessano alcuni algoritmi in particolare, quelli a cui si fa riferimento ultimamente, si tratta degli algoritmi di raccomandazione; un insieme molto variegato di algoritmi che hanno come scopo quello di scegliere che contenuti mostrare agli utenti.

Il web è vasto, le informazioni in esso contenute sono sempre di più, quindi si è cercato un sistema che sollevasse gli utenti da quel faticoso processo di ricerca dei contenuti in un catalogo spesso vastissimo.

Poniamo l'esempio di un servizio di streaming, migliaia di film e serie tv che cambiano ogni giorno, un utente potrebbe uscirne matto navigando tra categorie e ricerche; molto più comodo aprire la schermata iniziale e vedere cosa viene proposto.

Ma come funziona? Ogni algoritmo fa da sé, e la maggior parte di essi sono segreti custoditi gelosamente dalle aziende, ma in generale possiamo dire che si basano sulla profilazione degli utenti, imparando man mano dai loro comportamenti e dalle loro interazioni.

Poniamo di essere un nuovo utente di una piattaforma di streaming: non essendo ancora stato profilato, inizierà a chiedermi dei miei gusti, oppure mi proporrà contenuti che sono molto famosi in quel momento, cercando di affinare la sua conoscenza dei miei gusti, finché non saprà propormi contenuti adatti a me.

Tutto questo sembra ragionevole, e in parte lo è: risolve il problema della quantità di contenuti a cui accennavo sopra. Ma ha anche dei lati oscuri, che in questi anni stiamo imparando a conoscere.

Il fenomeno delle bolle, è il primo ad essere stato visto: una volta che l'algoritmo avrà imparato a conoscermi, non mi proporrà nulla al di fuori della mia zona di comfort, limitando la mia crescita personale, e confermando continuamente i miei gusti assodati.

Ma la cosa se già potrebbe sembrare inquietante per i servizi di streaming, dove tutto sommato il peggio che potrebbe capitare è il perdersi l'ultima serie tv uscita, diventa problematica quando applicata ai social.

Se io entro su un social, e leggo soltanto opinioni con cui sono d'accordo, il rischio concreto è che io mi radicalizzi su queste idee, non entrando mai in contatto con idee diverse dalle mie.

Certo, questo avviene sempre, anche al di fuori dei social: se io vado al bar sport, non parleranno certamente di fisica quantistica. Ma se hai un algoritmo che sotto i piedi spinge costantemente verso una bolla, è molto più difficile sfuggirci.

Ma le cose possono diventare ancora più oscure. Cosa succede se il gestore del social interviene su questo algoritmo di raccomandazione? Improvvisamente si ha il potere di manipolare le masse.

Il caso forse più noto è stato quello di Cambridge Analytica, dove i dati di profilazione di Facebook sono stati usati per creare campagne elettorali personalizzate, volte a manipolare le intenzioni di voto delle persone.

Oppure sul più recente caso di Twitter, dove per essere raccomandati bisogna pagare un abbonamento mensile, altrimenti, c'è l'oblio digitale nel mare di rumore informativo.

O anche la tendenza, sempre su Twitter, ma presente anche in altri social, di raccomandare i “temi caldi”, in modo da indurre discussioni, o spesso litigi, per tenere le persone attive sul social e monetizzare con le pubblicità.

Finiamo citando un bias (o distorsione cognitiva): l'effetto carrozzone. Le persone, quando non hanno già una idea ben definita, tendono a farsi una propria idea basandosi su quello che dicono e fanno le persone loro vicine.

È un effetto ben noto a politici ed esperti di marketing, ma che dire dei social? Un algoritmo che può raccomandare determinate informazioni ed idee, può agilmente sfruttare questo effetto per indurre le persone a farsi una certa idea piuttosto che un'altra.

Una vera soluzione a questi problemi ancora non esiste, anche se tanti se ne stanno preoccupando, sia a livello tecnico, sia a livello legislativo. Ma alla fine, come al solito, siamo noi per primi ad essere chiamati alla consapevolezza.

Dobbiamo quindi tenere sempre conto che la vetrina che ci viene proposta, non è una rappresentazione della realtà, ma solo quello che qualcuno o qualcosa vuole farci vedere. Esattamente come in un negozio fisico, dove nella vetrina il negoziante espone ciò che vuole venderci.

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