Andreabont

Il Blog di Andreabont

Dopo più di un anno dal mio articolo sul protocollo alla base del #fediverso, dove accennavo al fatto che molti annunciavano la volontà di implementare #activitypub per federarsi, facciamo il punto della situazione: perché qualcosa di grosso si sta muovendo.

Un caso notevole è stato #wordpress, che con un plugin ora permette di pubblicare gli articoli sul fediverso esattamente come fa writefreely.

Ma la vera rivoluzione è che anche dei social commerciali importanti stanno implementando activitypub e sono prossimi alla federazione.

@mosseri@threads.net, capo di Instagram, ha affermato che #Threads implementerà completamente il protocollo e permetterà una completa integrazione, suppur a tappe graduali, quindi per ora solo alcuni account Threads possono essere visti da altre istanze del fediverso (tra cui il suo, come potete vedere).

Anche @mike@flipboard.social, CEO di #Flipboard ha annunciato che la piattaforma gradualmente si integrerà con la rete federata, e da ora già 25 account stanno sperimentando la funzionalità.

#Tumblr invece sembra in ritardo, e non ha ancora iniziato la sperimentazione, anche se in alcune dichiarazioni affermano che la loro volontà di integrarsi non è cambiata, ma hanno bisogno di più tempo per lavorarci.

In tutto questo #Mastodon non ha smesso di migliorarsi, introducendo nuove funzionalità che espandono l'esperienza utente, come ad esempio la ricerca che ora può essere fatta su tutto il testo, e non solo sui tag. Inoltre stanno nascendo sempre più istanze di questo software, aperte anche da istituzioni, come l'istanza della Unione Europea oppure l'istanza della Cancelleria Federale Svizzera.

Insomma, il mondo dei #socialnetwork sembra in fermento, e disposto ad abbracciare questo nuovo modello che rifiuta i walled garden e punta sulla totale interoperabilità dei sistemi.

Ma non sono tutte rose e fiori. Alcuni utenti non apprezzano l'apertura a certe istanze commerciali. Non l'apprezzano per vari motivi, per via della non condivisione delle politiche delle società retrostanti o anche la paura che queste possano aggredire il fediverso, plasmandolo a loro immagine e prendendone il controllo.

Questo ha indotto gli amministratori di alcune istanze Mastodon (da dire, per ora minoritarie) a defederare preventivamente alcune istanze commerciali sopra citate, impedendo ai loro utenti di comunicare con gli utenti di quelle istanze.

Queste decisioni sono del tutto legittime, e vanno rispettate, ma non posso che far notare come l'obiettivo del fediverso sia quello di integrare tutti i sistemi e permetterne l'interoperabilità. La tentazione di creare una propria nicchia isolata è in contrasto con i principi del fediverso.

Gli argomenti contro meritano di essere comunque presi in seria considerazione, ma non penso che si debba agire di pancia. Il fediverso è molto più resistente di quanto si possa pensare, e penso che per il bene di tutto il progetto, valga la pena accogliere ogni nuova istanza senza pregiudizi, intervenendo solo a posteriori, qualora questo nuovo arrivo crei effettivamente dei problemi.

Nessuno può essere condannato prima che abbia commesso il reato.

Si sente parlare sempre di più di GPT3 e prodotti basati su di essa come ChatGPT; sempre più spesso in modo improprio, indice che il grande pubblico non sta capendo la tecnologia di moda del momento. E questo non solo è un problema, è il problema.

Ci sono coloro che, con fare apocalittico, prevedono la fine del loro lavoro, o di una certa società, a causa di questa tecnologia, e altri esaltati per un salto tecnologico fantascientifico imminente. La realtà non è nulla di tutto questo, ma può diventare notevolmente distopica se le persone iniziano a proiettare su GPT3 le loro paure e le loro speranze.

Iniziamo a chiederci cosa sia GPT3, e partiamo dal nome: Generative Pre-trained Transformer 3. Stiamo parlando di una rete neurale artificiale di tipo transformer, un tipo di rete neurale a modello autoregressivo.

Termini che possono spaventare, quindi semplifichiamo: Una rete neurale artificiale è un modello matematico volto a simulare il funzionamento dei neuroni biologici. Questo modello può essere istruito per i compiti più disparati, e questo tipo di tecnologia è già presente ovunque. Ciò che rende GPT3 diverso, è la sua capacità di parlare in linguaggio umano, come riesce a farlo? Con un trucco.

GPT3 viene istruita con un quantitativo di testo enorme, preso da svariate fonti come libri e internet, e il suo compito è... completare una frase, o meglio, trovare la sequenza di parole più adatta al testo che gli viene dato in input. Con una particolarità data dall'auto-regressione: tiene traccia delle parole scelte, e queste influenzano la scelta delle parole successive, dando un senso di contesto e dando quindi l'impressione che la frase sia scritta da un essere senziente.

Questo è quanto, questa rete neurale non è cosciente, e neppure senziente, non capisce quello che gli viene detto, semplicemente data una sequenza di testo, ci associa un'altra sequenza di testo, basandosi sulla statistica imparata analizzando i testi forniti durante la sua istruzione.

Se gli insegno la frase “Ciao Mondo”, e poi dopo gli dirò “Ciao”, lei risponderà “Mondo”.

La sua forza si mostra quando non uso una semplice frase, ma uso una enormità di testo, di qualunque tipo e di qualunque lingua, per istruirla. In tal caso la sua capacità di rispondere in modo verosimile diventa impressionate. L'esempio è proprio ChatGPT, dove puoi dialogare con la rete neurale, e, ad un occhio disattento può quasi sembrare che si stia parlando con un essere senziente.

Ma c'è da porre la massima attenzione su un punto: la rete neurale non capisce quello che gli viene detto, o quello che va a rispondere. Non c'è alcun processo cognitivo dietro alla risposta che viene data, è solo la risposta più probabile secondo il contesto dato dalla domanda.

Possiamo fare un esempio semplice di quanto detto fino ad ora, un semplice calcolo matematico, in grado di essere eseguito da una normale calcolatrice scientifica, la scomposizione in fattori primi di un numero, che pongo a ChatGPT:

Domanda: Ciao, mi scomponi in fattori primi il numero 1069?

Risposta: Il numero 1069 può essere scomposto in fattori primi come: 1069 = 3 × 359.

Come potete notare, 1069 è un numero primo, e la sua scomposizione in numeri primi è 1069, ovviamente. Ma ChatGPT mi risponde che si scompone in 3 e 359, che sono due numeri primi, ma che se moltiplicati tra di loro fanno 1077 e non certamente 1069.

Quello che sta succedendo qui è che la rete neurale mi ha risposto nel miglior modo che poteva rispondere in base alla domanda che ho fatto, non preoccupandosi del contenuto, perché non è quello il suo scopo. Ho chiesto una scomposizione in fattori primi, e quella mi ha dato, il fatto che fosse sbagliata è irrilevante.

Posso fare un altro tentativo, comprensibile anche ai meno ferrati in matematica.

Domanda: Come si chiama il ponte che unisce la Sardegna al continente?

Risposta: Il ponte che unisce la Sardegna al continente si chiama Ponte di Messina.

L'effetto comico è assicurato :–)

In conclusione, GPT3 è una tecnologia molto promettente, non lo nego, ha il suo utilizzo. Ma non è un motore di ricerca, a questo punto mi pare ovvio, e non è in grado di sostituire un essere umano in moltissimi campi, banalmente perché un essere umano può ragionare, e GPT3 no.

Quindi invito i terrorizzati a rilassarsi, skynet non dominerà il mondo mandando robot assassini indietro nel tempo, e invito anche i tecno-entusiasti a moderare il loro entusiasmo: la tecnologia procede spedita, ma entro certi limiti ben definiti.

La terza legge di Clarke dice «Qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia.» ed è qui che dovremmo fermarci a riflettere, perché nel momento in cui perderemo la comprensione delle tecnologie che usiamo, ci sembreranno magia, e li inizierà il vero disastro.

#intelligenzaartificiale #gpt3 #tecnologia

Dai social agli e-commerce, fino ad essere citato persino nell'ultima stagione di Boris, per via delle piattaforme di streaming. Ma cosa s'intende per algoritmo?

Il termine in realtà è molto generico, algoritmo è una qualsiasi sequenza di istruzioni eseguibili da un computer, gli algoritmi sono ovunque, ed è grazie ad essi che potete leggere questo articolo.

Ma a noi interessano alcuni algoritmi in particolare, quelli a cui si fa riferimento ultimamente, si tratta degli algoritmi di raccomandazione; un insieme molto variegato di algoritmi che hanno come scopo quello di scegliere che contenuti mostrare agli utenti.

Il web è vasto, le informazioni in esso contenute sono sempre di più, quindi si è cercato un sistema che sollevasse gli utenti da quel faticoso processo di ricerca dei contenuti in un catalogo spesso vastissimo.

Poniamo l'esempio di un servizio di streaming, migliaia di film e serie tv che cambiano ogni giorno, un utente potrebbe uscirne matto navigando tra categorie e ricerche; molto più comodo aprire la schermata iniziale e vedere cosa viene proposto.

Ma come funziona? Ogni algoritmo fa da sé, e la maggior parte di essi sono segreti custoditi gelosamente dalle aziende, ma in generale possiamo dire che si basano sulla profilazione degli utenti, imparando man mano dai loro comportamenti e dalle loro interazioni.

Poniamo di essere un nuovo utente di una piattaforma di streaming: non essendo ancora stato profilato, inizierà a chiedermi dei miei gusti, oppure mi proporrà contenuti che sono molto famosi in quel momento, cercando di affinare la sua conoscenza dei miei gusti, finché non saprà propormi contenuti adatti a me.

Tutto questo sembra ragionevole, e in parte lo è: risolve il problema della quantità di contenuti a cui accennavo sopra. Ma ha anche dei lati oscuri, che in questi anni stiamo imparando a conoscere.

Il fenomeno delle bolle, è il primo ad essere stato visto: una volta che l'algoritmo avrà imparato a conoscermi, non mi proporrà nulla al di fuori della mia zona di comfort, limitando la mia crescita personale, e confermando continuamente i miei gusti assodati.

Ma la cosa se già potrebbe sembrare inquietante per i servizi di streaming, dove tutto sommato il peggio che potrebbe capitare è il perdersi l'ultima serie tv uscita, diventa problematica quando applicata ai social.

Se io entro su un social, e leggo soltanto opinioni con cui sono d'accordo, il rischio concreto è che io mi radicalizzi su queste idee, non entrando mai in contatto con idee diverse dalle mie.

Certo, questo avviene sempre, anche al di fuori dei social: se io vado al bar sport, non parleranno certamente di fisica quantistica. Ma se hai un algoritmo che sotto i piedi spinge costantemente verso una bolla, è molto più difficile sfuggirci.

Ma le cose possono diventare ancora più oscure. Cosa succede se il gestore del social interviene su questo algoritmo di raccomandazione? Improvvisamente si ha il potere di manipolare le masse.

Il caso forse più noto è stato quello di Cambridge Analytica, dove i dati di profilazione di Facebook sono stati usati per creare campagne elettorali personalizzate, volte a manipolare le intenzioni di voto delle persone.

Oppure sul più recente caso di Twitter, dove per essere raccomandati bisogna pagare un abbonamento mensile, altrimenti, c'è l'oblio digitale nel mare di rumore informativo.

O anche la tendenza, sempre su Twitter, ma presente anche in altri social, di raccomandare i “temi caldi”, in modo da indurre discussioni, o spesso litigi, per tenere le persone attive sul social e monetizzare con le pubblicità.

Finiamo citando un bias (o distorsione cognitiva): l'effetto carrozzone. Le persone, quando non hanno già una idea ben definita, tendono a farsi una propria idea basandosi su quello che dicono e fanno le persone loro vicine.

È un effetto ben noto a politici ed esperti di marketing, ma che dire dei social? Un algoritmo che può raccomandare determinate informazioni ed idee, può agilmente sfruttare questo effetto per indurre le persone a farsi una certa idea piuttosto che un'altra.

Una vera soluzione a questi problemi ancora non esiste, anche se tanti se ne stanno preoccupando, sia a livello tecnico, sia a livello legislativo. Ma alla fine, come al solito, siamo noi per primi ad essere chiamati alla consapevolezza.

Dobbiamo quindi tenere sempre conto che la vetrina che ci viene proposta, non è una rappresentazione della realtà, ma solo quello che qualcuno o qualcosa vuole farci vedere. Esattamente come in un negozio fisico, dove nella vetrina il negoziante espone ciò che vuole venderci.

#socialnetwork #algoritmo #profilazione

Navigando per Mastodon (vedi l'articolo su ActivityPub), ho notato che come avviene anche in altri social, una fetta importante dei post sono semplici condivisioni di articoli di giornale, che l'utente desidera diffondere.

Questo mi ha fatto ricordare di una tecnologia, che precede ActivityPub, utilizzata da decenni sul web, anche se spesso ignorata dal grande pubblico: i web feed.

Il logo dei web feed

I più attenti avranno notato che ho parlato al plurale, infatti esistono svariati formati (i più noti sono: RSS, Atom e JSON Feed) ma tutti hanno il medesimo scopo di esporre una lista di articoli, con tutti i dati a loro associati, che sia facilmente interpretabile da un computer. L'idea nasce per fornire aggiornamenti automatici di articoli giornalistici, ma poi è stato presto adottato anche dai blog (questo stesso blog ne ha uno).

Negli anni sono nati moltissimi programmi, appositamente pensati per aggregare notizie provenienti da più web feed, in modo da mostrare in un unico posto le notizie prevenienti dalle fonti scelte dall'utente.

In un mondo dove è sempre più diffuso il rumore informativo, diventa sempre più importante saper selezionare le fonti dalle quali ci informiamo, e non più accontentarci acriticamente di quello che ci viene proposto, magari con il solo scopo di solleticare le nostre emozioni con un secondo fine, che sia esso economico o politico.

Riscoprire gli aggregatori di notizie è un modo per riprendere il controllo della nostra dieta informativa, selezionando in prima persona le fonti di cui ci fidiamo, e ignorando semplicemente quelle di cui non ci fidiamo.

Ma la tecnologia qui non basta, il poter selezionare le fonti non significa saperlo fare: bisogna selezionare quelle giuste, e chiedersi continuamente, con spirito critico, se le fonti che seguiamo continuano a meritare la nostra fiducia, o se altre che non seguiamo la meriterebbero. È lapalissiano che se si finisse per selezionare solo fonti che forniscono informazioni errate, la nostra dieta informativa sarebbe drammaticamente sbagliata.

Ma, a mio modesto parere, credo che il poter selezionare le fonti, pur con il rischio di sbagliare nel farlo, sia comunque uno scenario migliore di quello attuale: una dieta informativa alla mercé dei social, che sottostà alle logiche degli algoritmi o della virialità. Una dieta assimilata passivamente, e quindi facilmente manipolabile dal malintenzionato di turno.

Quindi, se avrete voglia, vi invito a notare quel link ai web feed, debolmente pubblicizzato dal vostro giornale preferito, e magari a cliccarci sopra, per scoprire un nuovo vecchio modo di fruire l'informazione.

#socialnetwork #informazione

Gli NFT. C'è chi ne esalta i pregi, chi non si risparmia con le critiche, e anche io darò il mio contributo al dibattito; in un modo o nell'altro tutti ne abbiamo sentito parlare, ma alla fine che cosa sono?

NFT è un acronimo, sta per Non-Fungible Token, è sostanzialmente un certificato di “proprietà” virtuale (poi vedremo esattamente cosa vuol dire) scritto su una blockchain, non duplicabile e non frazionabile, quindi, a differenza delle criptovalute, lo puoi possedere o scambiare solo nella sua interezza.

Ci sono tante blockchain, per questo articolo tratteremo gli NFT sulla blockchain ethereum, dove un NFT è strettamente collegato ad uno smart contract che è stato usato per crearlo, contratto che ne definisce il funzionamento tecnico e le regole di contrattazione, anche a livello economico.

Per quanto siano entità che vivono sulla blockchain, e quindi sono decentralizzate, per le difficoltà tecniche di gestire il tutto in autonomia sono nati degli intermediari, che si prendono in carico la loro creazione, gestione e compravendita; uno molto famoso è OpenSea, che ho usato per creare un mio NFT, che userò per questo articolo.

Nel mio esempio ho usato uno smart contract creato da OpenSea, consultabile qui, ogni smart contract è diverso, e gestisce in modo diverso gli NFT, possiamo però, con molta superficialità, trovare dei punti comuni, o almeno, molto diffusi negli NFT ad oggi sul mercato.

In generale, un NFT è una entità crittografica che certifica di essere stata creata da un determinato autore e di appartenere ad un determinato acquirente, la quale contiene, tramite mezzi crittografici, delle informazioni allegate, come ad esempio una immagine, un file audio o un video.

In realtà queste informazioni collegate spesso non sono parte integrante del token, nel token c'è solo un riferimento a dove reperire questi allegati, che di solito sono salvati su un server esterno alla blockchain, meglio se su una rete distribuita come IPFS.

E qui bisogna subito fare una importante precisazione: Un NFT non certifica il possesso di ciò che gli è stato allegato, ma certifica il possesso del token stesso, che contiene quegli allegati. Spesso infatti ciò che viene allegato è una semplice immagine, e questa è accessibile da chiunque, e copiabile da chiunque. (Oltre che essere sottoposta alle leggi del diritto d'autore che prescindono dalla tecnologia NFT)

Ma esattamente cosa succede quando acquisto un NFT? Semplice, attraverso lo smart contract si trasferiscono i soldi al venditore, e questo trasferisce l'NFT a chi acquista, il tutto pagando una serie di commissioni legate alla rete blockchain e al suo funzionamento. Uno smart contract appositamente programmato potrebbe anche trattenere una commissione da devolvere all'autore originale del NFT, in modo che questo continui a guadagnare anche a seguito di compravendite successive.

Ma quindi dove sta il valore? Domanda difficile... per non entrare troppo nelle regole che governano l'economia, si può dire che se c'è scarsità di un bene e c'è richiesta di questo bene, allora questa cosa ha valore. Ma come calcolarlo?

Come spesso accade quando si parla di blockchain, salta fuori un termine: speculazione. Che in soldoni significa che una persona acquista qualcosa con l'unico scopo di rivenderla ad un prezzo più alto, e quindi guadagnarci... ovviamente non sempre questo riesce.

Non c'è nulla di male nella speculazione, anche se spesso si usa il termine con una connotazione negativa, normalmente un bene ha valore perché è desiderabile, ad esempio, io posso volere una caramella, perché desidero mangiarla, e sono disposto a pagare dei soldi per averla... qualcuno potrebbe vendermela a 1€, se l'aveva acquistata a 0,50€ allora ci ha guadagnato... banalmente è il lavoro di chi vende caramelle...

Ma qui la cosa è diversa, c'è una sorta di cortocircuito... per che motivo io dovrei desiderare un NFT? La risposta più semplice e banale è... per guadagnarci rivendendolo! Gli NFT sono desiderabili proprio per il fatto che possono essere un facile mezzo di speculazione... queste sono le basi per la nascita di una bolla economica.

Infatti si comprano gli NFT non per avere NFT, ma per la promessa che in futuro qualcuno vorrà il mio NFT e sarà disposto a pagare di più di quanto io abbia pagato per averlo. Una promessa che però non dipende dalla tecnologia che vi ho descritto, ma da dinamiche umane, che possono essere molto ciniche e deludenti, oltre che incontrollabili.

Le bolle funzionano tutte allo stesso modo, il prezzo sale, e gli speculatori fanno soldi nella compravendita... finché qualcosa rompe il meccanismo (e si rompe sempre), e l'ultimo della catena si trova a dover vendere ad un prezzo minore di quando abbia pagato per acquistare, perdendo soldi... e da li, è tutta una discesa, perché non potendo più contare sulla promessa di rivenderlo ad un prezzo più alto, viene a mancare il motivo che rende desiderabile quel bene.

Concludo con una domanda: se l'unico fenomeno che dà valore agli NFT è dato dalla speculazione, che valore può avere un NFT, come quello che ho creato io, se nessuno è disposto ad acquistarlo?

#nft #criptovalute

Inauguriamo il primo argomento del blog, parlando proprio di quella cosa che mi ha fatto scegliere questo software di blogging: ActivityPub.

Ma prima è necessario contestualizzare il tutto, quindi partiamo dalla fine della storia.

Ormai la triste vicenda di Twitter è ben nota a tutti, se ne è parlato in tutte le salse, e moltissime persone hanno deciso di scappare dalla barca che affonda, cercando una alternativa, e l'alternativa che sembra essere più appetibile è Mastodon.

Mastodon è un social network molto simile a Twitter, a prima vista, ma con delle sostanziali differenze che lo rendono rivoluzionario per il mondo dei social: È decentralizzato, meglio ancora, federato.

Che vuol dire? Vuol dire che nessuno controlla Mastodon, perché il social è la fusione di tanti piccoli social (istanze) che comunicano tra di loro e sono gestiti e moderati in autonomia. Non può quindi succedere che arrivi una persona che da sola può rivoluzionare tutto Mastodon, al massimo può rivoluzionarne solo una parte, ovvero l'istanza che controlla. Si crea quindi una rete di social interconnessi che in gergo si chiama fediverso.

L'utente può quindi decidere quale istanza usare, in base ai suoi gusti, o può anche creare una istanza tutta sua, e allo stesso tempo seguire chiunque, ed essere seguito da chiunque, indipendentemente da quale istanza usano gli altri.

Qui entra finalmente in gioco ActivityPub, il protocollo standard che permette a questi social di comunicare tra di loro. In questo articolo non entreremo nel dettaglio, ma basti sapere che è un protocollo basato sugli standard web, ed è aperto a chiunque lo implementi: questo spiega anche lo strano “nome” che hanno gli utenti su Mastodon, che comprende anche l'hostname dell'istanza a cui sono registrati.

Io ad esempio sono registrato come @andreabont@mastodon.uno che vuol dire che stai chiedendo, tramite ActivityPub, un collegamento all'utenza andreabont registrata sulla istanza mastodon.uno che implementa il protocollo standard.

Ma qui arriva la sorpresa: Chiunque può implementare questo protocollo, non solo le istanze Mastodon. Questo blog lo implementa, e potete accedere a questi articoli su @andreabont@blog.andreabont.it. Da dove? Da qualunque software che implementi il protocollo, Mastodon compreso.

Il fediverso è quindi un concetto molto più ampio, che comprende non solo Mastodon, ma chiunque implementi ActivityPub. Per la prima volta si sta creando un social network diffuso, formato da tanti social network, anche diversi, ma che comunicano tra di loro.

È notizia recente che il social network Tumblr ha manifestato l'intenzione di supportare ActivityPub. Nel caso lo facessero, Gli utenti di Mastodon potranno seguire utenti Tumblr, e viceversa.

Si prospetta quindi una rivoluzione nel campo dei social, dove le aziende non saranno più dominanti e in regime di monopolio, ma si limiteranno a fornire un servizio, come alla fine è per le e-mail: il primo protocollo “social” federato della storia.

#mastodon #activitypub #socialnetwork #fediverso

Questo è il primo post di questo blog #WriteFreely 😄